Storia e curiosità 

Altre interessanti testimonianze sulla produzione dei vini vengono anche dai Registri della Amministrazione delle Confraternite come quella di San Giovanni della Misericordia di Matelica. Ad esempio nell'anno 1604 risultano spese per lavoratori che hanno provveduto a dare "stabio alla vigna" nel 1674 (vedi libro della Amministrazione) riusultano entrate (25 scudi) "ritratti per vino venduto dalla Compagni" , nel 1683 le some di vino venduto sono 36, agli inizi del 1700 (marzo 1708) sono annotate, ad esempio, spese per "mercede per lavori per havere messe trenta viti e 27 pali nella terra della Chiesa" solo per citare un momento di tale attività, nei decenni successivi risultala produzione di mosto (1754/55) di uve coltivate a Crinacci e Colle delle Pera (oltre che quello dell'"accatto").
Risale invece ai primi anni del 1700 un atto del notaio matelicese Carlo Bonanni (Archivio di Stato di Camerino) relativo al testamento di un signor Bartoli, proprietario di notevoli beni mobili ed immobili, la cui cantina è fornitissima di botti "cerchiate di ferro tedesco" o di "ferro bresciano", di botti cerchiate in parte di ferro tedesco e in parte di ferro bresciano, piene di "some 24 e bucali 37 di vino vecchio", o di some "decidotto" o " dieci e bucali quattro" o di "some sei e bucali 43" o di "some nove e bucali quindici", o di "some decisette e bucali dui" e se c'è una botte "segnata n. 16" la cantina doveva essere ben fornita.

Non mancano "botti di mosto cotto per dieci some", secchie cerchiate di legno e "con due cerchi di ferro bresciano di tenuta some tre", "il friscolo o torolo con la sua vite e gabbia", " una caldara da cuocere il mosto murata da tenuta some cinque e mezza can i mattoni", "due treturij con boccaroli di legno", "dodici para di bignonzi", "tutte le suddette botti stanno sopra li suoi posti di legno".
Notizie interessanti anche per capire la sistemazione delle cantine di sui tutte le case dei nobili e dei benestanti di Matelica erano fornite e di cui rimane tutt'ora traccia (vedi Palazzo Ottoni, Palazzo Piersanti, Palazzo Finaguerra, Palazzo de Sanctis, tutti posti nel centro storico e tanti altri).
Eredità prestigiosa, che offre continue e preziose testimonianze sulla civiltà del lavoro della terra e sul patrimonio di cultura che da secoli caratterizza la coltivazione della vite nelle nostre zone.
Notizie simili giungono dal tardo Settecento e dall'Ottocento.
Alla tipologia dei documenti precedenti si aggiungono interessanti notizie attraverso gli atti dell'inchiesta Jacini, che risale alla seconda metà dell'Ottocento, grazie alla quale si ha uno spaccato del mondo del lavoro e della produzione anche agricola di tutto il territorio nazionale, e altri documenti tra cui i verbali dei consigli comunali, che dopo l'Unità, parlano di vertenze legate al vino tra comune e ordine benedettino e che sfociano nel contrasto tra il Comune ed il parroco Bravi, appunto dell'ordine benedettino silvestrino per la proprietà dei vasi vinari.
Alcune pagine dell'inchiesta Jacini fanno espresso riferimento al Verdicchio (pag. 800) . Allorché si parla della zona di Macerata e della coltura della vite, si afferma che "il vitigno del verdicchio gode le simpatie di tutto il circondario in modo che lo si trova coltivato in grandi proporzioni dappertutto Altri vitigni non si trovano così intensamente quanto il verdicchio. In generale, si aggiunge, il vino è ritenuto dai contadini come oggetto di lusso. Si hanno famiglie che non lo bevono se non nelle solennità"(pag. 1167).
Altre interessanti annotazioni circa il vino, anche se non specificatamente circa il Verdicchio, vengono anche dall'area fabrinanese: basterebbe rileggere le pagine del testo di Oreste Marcoaldi: Guida e Statistica della città e del Comune di Fabriano (Fabriano, Tip. Crocetti, 1873, vol I, pag. 24) in cui, a proposito delle uve e del vino si dice: "Trentacinque sono le qualità o varietà delle uve del nostro territorio, i cui nomi presi dal solo carattere del frutto, non delle foglie e dei tralci insieme, piacemi raffrontare con quelli delle identiche uve romane, notando che le viti con sostegno a pali son poste a filari (lontane gli uni dagli altri m. 10) intercalate con oppi (Acer campestre) alla distanza varia di m. 7 a 10". Seguono informazioni sulla lavorazione delle uve e sulle rese. (pag. 25). " Il mosto che attualmente si imbotta nel nostro territorio ascende in media ad ettolitri 16.612 . I vini del nostro Comune sono consumati nel luogo ed esportati nell'Agro Romano."
Si tratta solo di un flash condotto sul territorio vicino.
Questa breve relazione non ha assolutamente carattere esaustivo sull'argomento ma ha soltanto lo scopo di proporre annotazioni circa l'argomento in oggetto: resta comunque centrale il documento del XVI secolo che dà assoluta certezza sulla presenza del vitigno del Verdicchio nel nostro territorio.
Lo storico greco Tucidide già alla fine del V secolo avanti Cristo afferma che "i popoli del Mediterraneo cominciarono a emergere dalle barbarie quando impararono a coltivare l'olivo e la vite": procedere verso la civiltà è possibile anche nel Duemila, continuando a curare in ogni sua fase ed in tutti i suoi aspetti questo prezioso bene che è al centro del nostro interesse, qui oggi.
E' tutto, grazie.

 

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