Storia e curiosità 

Seguono poi espressioni latine con cui si fissa il contratto secondo le modalità pattuite.
Acum Mat.ca in Palatium Comuni dictae Terrae in sala magna esiudem palaty iuxta plateam et vias publicas ab omnibus presentibus ... ibidem Guido Zaccaria et Forte Paganello de Mat.ca testibus ...
L'atto viene cioè stilato nella sala maggiore del palazzo pubblico, presso la piazza maggiore centrale detta allora Grande.
Si tratta di un documento eccezionale che merita ogni attenzione. Fa presumere notizie parallele anche per il futuro, pur non specificate con la dizione del Verdicchio.
Altro interessante documento che conferma sia la coltivazione della vite nel territorio che l'abbondanza di vini risale al 1587.
Un anonimo estensore presenta Matelica ed il suo territorio fin nei minimi particolari in una dettagliata relazione sulla città e l'ambiente circostante.
Ricorda che la città è adagiata "nel piano di una valle, circumdata da humili ameni et fertili colli, ornati tutti di giardini, vigne et ogni sorte di piane di i frutti suavissimi" da colli che giungono "alle radici di altissimi monti" ricchi di "prati e selve" che "danno biade, legne et fieni et pascoli per pecore, capre, vacche, cavalli" e che "danno pali per sostener le viti".
Inoltre per "il sito et per la deligente coltivazione ... produce ottimi vini de quali ogni anno può darne ... (molte) some senza suo incomodo alli luoghi convicini ..."
Tutto merito di un "popolo non otioso".
Gli Ottoni, allora signori della città, ne custodivano notevoli quantità nelle cantine dei loro palazzi, frutto della produzione che veniva non solo dalle colline matelicesi ma dai piani verso Cerreto (Incrocca), come attestato dai catasti dell'epoca (sec. XVI), con un tempo fissato per la vendemmia che non doveva mai precedere o coincidere a quella delle terre di Fabriano.
Dai Catasti di Città custoditi nell'Archivio Storico comunale di Matelica emergono altre annotazioni ricorrenti sulle terre vignate e sui loro proprietari, con la indicazione delle contrade: Vepri, Collicchio, San Venanzo, San Venale o Saenale, Ceresi (dove è proprietario di vigne anche Antonio di Cesare Ottoni), Balzani, Serre, Sancto Salvatore, Colle, Casoya, Cammoyano, Santo Biagio, Piano della tomba (zona verso i Cavalieri), Fonticelle, Canali, solo per citare i più ricorrenti.
Altrettanto interessanti informazioni vengono da documenti del 1600 e del 1700, circa la vastità della produzione, grazie alla scoperta ed allo studio di atti notarili che riguardano trasmissioni di proprietà di importanti famiglie.
Ricorrenti sono i riferimenti a botti di diversa capienza, al loro numero e a quanto segue "Botti cerchiate" di ferro e di legno da 15, 10, 6, 5, 4 some, "Secchie cerchiate di legno da tenere sotto le canali da sei some", " caldare di rame da cocer il mosto da cinque some", "bigonzi", "Imbottatori" e quant'altro caratterizza il necessario per le operazioni della vendemmia e della produzione del vino. Atti del notaio matelicese Francesco Turi, 21 maggio 1663:
nel passaggio di proprietà agli eredi Bonanni, importante e benestante famiglia matelicese, sono indicate "botti cerchiate di ferro piene di vino di some 15" altre di "some 10, una cerchiata da tenere sotto le canale da sei some, bigonze, una caldara di rame da cocere il mosto da some 5 e da some2" sempre nel 1663 negli atti che riguardano la famiglia Razzanti, una delle più prestigiose che ebbe tra i suoi componenti un Tesoriere della Marca, prelati e storici, compaiono notizie su botti poste "nella cantina" da "some decidotto, cinque, dodici e nella stanza delle canali, un friscolo al muro, una caldara murata da 4 some per cocer il mosto".
In un altro atto notarile dello stesso anno, relativo a Diana Ottoni, sono indicate "botti di vino decidotto tra grandi e piccole".
Verso gli ultimi decenni del 1600 (e sono i Libri dei Consigli Comunali e delle Reformanze a documentarlo) si ripete la consuetudine di fissare il prezzo del mosto in una seduta ai primi di ottobre a cui partecipano il Gonfaloniere, i priori, i grasceri, "fissandone l'importo dopo maturo colloquio" perché sia di pubblico dominio.
Sarà di "Pauli 12 la soma" nell'anno 1675, "di sei giuly la soma" nell'anno 1679, "di pauli cinque la soma" nell'anno 1680. Ancora documenti provenienti dai monasteri: I libri giornali del Monastero si Santa Maria Maddalena, detto della Beata Mattia, pur non specificando la tipologia della coltivazione, indicano notevoli quantità di mosto prodotto in alcuni anni, indicando le zone di produzione.
Nel libro giornale dell'anno 1693/94 ad esempio, al tempo della badessa Suor Madalena Felice Dionisi, segretaria Suor Anna Teresa Vignati, sono indicate oltre 230 some prodotte ogni anno nelle zone delle colline matelicesi nelle località Coio, San Lorenzo, Subbiano, Gesso, Pagliano, Foro, "La Vigna di San Vinanzo", Canaina, San Giovanni.
Nell'anno 1746 in cantina sono 266 some: le zone sono le stesse. Si sono aggiunte soltanto la vigna di S. Biagio, Campochiesa, Coio, Laga e Campamante, oltre la zona limitrofa al quartiere di Città.

 

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